Coronavirus, sindrome infiammatoria attacca i bimbi: l’allarme dei pediatri italiani

 

Il professore Angelo Ravelli, pediatra e segretario del gruppo di studio di Reumatologia della Società italiana di pediatria, scrive una lettera per avvertire i colleghi che sta succedendo qualcosa di strano, che il quadro clinico di alcuni pazienti non convince, con il Coronavirus in agguato, dietro l’angolo. Troppi dubbi. Il professore Ravelli è preoccupato dal numero elevato di bambini (sotto i 2 anni, il più piccolo ha 13 mesi) affetti dalla malattia di Kawasaki. «Al Gaslini di Genova ne ho avuti 5 in appena quattro settimane. Com’è possibile? Prima al massimo ne registravo 9 all’anno. E considerate che questa non è una malattia banale», spiega il professore. C’è poi la coincidenza che proprio la malattia di Kawasaki era tra quelle citate nella lettera inviata ai pediatri inglesi sulle sindromi infiammatorie riscontrate nei bambini ricoverati per Covid-19.

La malattia di Kawasaki è «un’infiammazione acuta dei vasi di piccolo e medio calibro di tutti i distretti dell’organismo la cui causa è attualmente sconosciuta». Colpisce prevalentemente lattanti e prima infanzia e i sintomi più comuni sono febbre, arrossamento congiuntivale di entrambi gli occhi, arrossamento delle labbra e della mucosa orale, anomalie delle estremità (mani, piedi e regione del pannolino), eruzione cutanea e interessamento dei linfonodi della regione del collo. E, infatti, nella missiva visionata da Open e che è stata inviata a 11mila pediatri (iscritti alla Società Italiana di Pediatria), si legge: (Continua…)

«Caro collega, ti scrivo per segnalarti che nelle ultime settimane è stato osservato, in particolar modo nelle zone del paese più colpite dall’epidemia da Covid-19, un aumento della frequenza di bambini affetti da malattia di Kawasaki. In una percentuale non trascurabile di casi la malattia si è presentata con un quadro clinico incompleto o atipico e ha manifestato resistenza al trattamento con immunoglobuline endovena e tendenza all’evoluzione verso una sindrome da attivazione macrofagica, che ha richiesto trattamenti aggressivi e, non di rado, il ricovero in terapia intensiva».

Quello che più stupisce è che molti di questi casi, «una decina in tutto», «siano stati registrati al Nord Italia», o comunque nelle zone più colpite dal Coronavirus che ha messo in ginocchio il nostro Paese, e che «una quota significativa di questi bambini ha presentato, in occasione del ricovero o nelle settimane precedenti all’esordio, un tampone positivo per il virus o ha avuto contatti con pazienti affetti». Nella lettera si chiede di prestare «un’attiva sorveglianza» – spiega il professore Ravelli a Open – per sintomi «quali febbre, congiuntivite, labbra screpolate, macchie tipo morbillo perché non si può escludere la correlazione della malattia di Kawasaki al Covid-19, e viceversa»: «Non è chiaro se il virus SARS-COV-2 sia direttamente coinvolto nello sviluppo di questi casi di malattia di Kawasaki o se le forme che si stanno osservando rappresentino una patologia sistemica con caratteristiche simili a quelle della malattia di Kawasaki, ma secondaria all’infezione. Ciò nonostante, l’elevata incidenza di queste forme in zone ad alta endemia di infezione da SARS-COV- 2 e l’associazione con la positività dei tamponi o della sierologia, suggerisce che l’associazione non sia casuale». (Continua…)

Per questo il «gruppo di studio di Reumatologia ha deciso di allertare la comunità pediatrica italiana sulla possibile insorgenza di una malattia di Kawasaki in bambini affetti da Covid-19» e quindi ha promosso «una raccolta dati di questi casi con l’obiettivo di caratterizzarne le manifestazioni cliniche, le terapie eseguite e l’evoluzione e di indagare il possibile ruolo causale del virus SARS- COV-2». È doveroso sottolineare che il Coronavirus «non colpisce quasi mai i polmoni dei bambini che, di fatto, hanno un rischio più basso di sviluppare le gravi complicanze legate all’infezione, prima fra tutte la polmonite interstiziale». I piccoli, dunque, «sono i meno colpiti» e, anche se positivi al Covid-19, presentano «sintomi lievi». Non convincono nemmeno i geloni ai piedi dei ragazzi, adesso, in primavera. «Hanno dai 10 ai 17 anni e sono soprattutto maschi» ci spiega la prof.ssa May El Hachem, primario di Dermatologia all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Lei, ad esempio, si è accorta di uno strano fenomeno, solitamente sottovalutato: «In due settimane 30 ragazzi con geloni. Come mai? Tutti adesso e tutti con un’irritazione cutanea che di solito si manifesta con il freddo e non di certo con queste temperature e in questa stagione».

Così ha iniziato a studiare 23 casi: «Qualcuno ha avuto febbre, tosse e diarrea prima dell’insorgenza dei geloni (i sintomi tipici del Covid-19, ndr). Ma tutti loro sono risultati negativi al tampone: adesso, infatti, ci tengo a dirlo, stanno bene. Cosa deduco? Che non possiamo negare un rapporto con il Coronavirus ma, attenzione, lo studio è in corso, quindi non c’è ancora una validazione scientifica. So per certo, però, che questo problema si sta riscontrando in tutta Europa, dalla Francia alla Spagna, non solo da noi. E i pazienti esaminati, in tutto, sono oltre 60». In altre parole, i geloni – apparentemente una banale irritazione cutanea – non sarebbero altro che i segnali di un possibile contatto tra i piccoli pazienti e il virus che, dunque, potrebbe aver scatenato la reazione cutanea.