“Conte e Speranza hanno causato la morte di persone” Ecco le carte dell’inchiesta di Bergamo che inchiodano i due indegni parassiti

Il procuratore capo Antonio Chiappani ha esposto le difficoltà dell’inchiesta: “Non potevamo archiviare”

di Francesca galici per Il Giornale
Dopo la chiusura delle indagini per l’inchiesta sulla pandemia Covid, il procuratore di Bergamo, Antonio Chiappani, è intervenuto ai microfoni di Radio24 anche per spiegare la ratio dell’iscrizione nel registro degli indagati di circa 20 persone. Da quanto emerge dalle indagini, Giuseppe Conte e Roberto Speranza “cagionarono per colpa” la morte di un alcune decine di persone “in cooperazione colposa” e assieme ad altri indagati. Si legge così nell’atto di chiusura delle indagini della procura di Bergamo, nel quale sono anche indicati i nomi di quelle persone purtroppo decedute. I presunti reati si riferiscono al periodo tra il 26 febbraio e il 5 maggio del 2020.

“Di fronte a queste criticità, a queste, secondo noi, insufficienze nelle valutazioni del rischio pandemico, perché stiamo parlando della prima fase della pandemia, del gennaio, febbraio e marzo del 2020, e di fronte alle migliaia di morti e a consulenze che ci dicono che questi potevano essere anche eventualmente evitati, noi non potevamo chiudere con un’archiviazione dell’inchiesta“, ha affermato il procuratore.

“Questa è stata la nostra scelta“, ha aggiunto Chiappani, che ha successivamente argomentato e spiegato anche alcuni punti dell’inchiesta, che si divide in tre tronconi. “Il nostro problema è stato sì quello del mancato aggiornamento del piano pandemico, e questo riguardava un lato ministeriale, ma anche la mancata attuazione di quegli accorgimenti preventivi che già erano previsti nel piano antinfluenzale, comunque risalente al 2006“, ha proseguito il procuratore. Quindi, da quanto emerge dalle sue parole, è vero che il piano pandemico non era aggiornato ma è altrettanto vero che ne esisteva uno che, per quanto non allineato con gli accorgimenti adeguati, poteva comunque essere messo in pratica.

Ma Chiappani torna anche sulla zona rossa della bergamasca, spiegando che col “decreto del 23 febbraio 2020 era stata richiamata la legislazione sanitaria precedente, per cui nel caso di urgenza c’era la possibilità sia a livello regionale sia anche a livello locale di fare atti contingibili e urgenti in termine tecnico, cioè di chiudere determinate zone, c’era questa possibilità e poteva essere fatto proprio in virtù di questo diretto richiamo“. E qui spiega: “Dal punto di vista giuridico è così, mentre dal punto del fatto è la consapevolezza che poteva avere un sindaco che si era in una situazione di emergenza. Quindi si rimanda al problema della ricostruzione dei dati che erano in possesso di un sindaco o un presidente di regione o un ministro. Questo era il problema della nostra indagine, capire il grado di conoscenza al fine di poter fare un intervento d’urgenza“.

Chiappani ha ribadito che si è trattato di una “inchiesta complessa“, di “ricostruzione di vite spezzate“, chiarendo che si dovranno “dimostrare anche i nessi di causalità tra le morti e gli ipotizzati errori o mancanze“. C’è stata, ha spiegato, una “insufficiente valutazione del rischio pandemico” e, sul fronte della mancata zona rossa nel Val Seriana, il procuratore ha precisato che l’indagine vuole dare una “risposta certa” su chi avesse la competenza di chiudere. Non un’inchiesta facile, perché per arrivare ad avere risposte è fondamentale “capire quale fosse il grado di conoscenza al fine di poter fare interventi di urgenza“. Trattandosi del periodo iniziale del Covid, questa valutazione risente di numerose varianti.