Attacco via terra o raid mirati Come sarà la guerra Usa-Iran

L’uccisione del generale Qasem Soleimani nei paraggi dell’aeroporto di Baghdad ha portato a un nuovo apice le tensioni tra gli Stati Uniti e l’Iran nel teatro mediorientale. L’improvvida azione ordinata dall’amministrazione Trump ha eliminato il più raffinato cervello strategico di Teheran e infervorato la leadership iraniana, che assieme alle organizzazioni ad essa legata come la libanese Hezbollah ha promesso vendetta contro gli Stati Uniti.

Secondo Piccole Note, la guerra appare conseguenza inevitabile: “L’azione supera tutte le linee rosse che appartengono al non detto ma sono rispettate da anni nella regione, tracciate per evitare di precipitare il Medio oriente in un precipizio catastrofico per tutti. Soleimani, considerato un terrorista dall’amministrazione Usa, in Iran era più di un capo militare, era una leggenda. E le autorità di Teheran non possono accettare il suo omicidio con remissione. Arriveranno delle risposte, annunciano, né possono fare altrimenti”.

Un’analisi tranciante che fotografa il livello di tensione raggiunto dagli odierni scenari mediorientali. In un certo senso, bisogna sottolinearlo, Iran e Usa sono già in conflitto dal 2018, dalla decisione del presidente Trump di stracciare l’accordo sul nucleare, ristabilire le sanzioni e avviare una strategia di massima pressione contro la Repubblica islamica. Nell’era della guerra senza limiti anche l’economia è strumento bellico: l’Iran lo ha imparato a sue spese subendo il tracollo valutario e il blocco all’export di petrolio, ma al tempo stesso ha reagito ampliando tra l’Iraq, la Siria e il Libano la sua proiezione regionale. Necessità strategica per un Paese che nella sua storia ha subito ondate cicliche di invasioni e vede nell’espansione della sfera difensiva un obbligo operativo. Minaccia intollerabile per l’amministrazione più anti-iraniana degli ultimi decenni, legata a doppio filo a Israele e ai regni arabi del Golfo.

Un conflitto a viso aperto tra i due Paesi potrebbe conoscere diversi gradi di significatività. Essi evolvono dalla guerra asimmetrica tra i deserti mediorientali alla guerra aperta combattuta nel territorio della Repubblica Islamica.

La guerra a distanza

Un proseguimento “accelerato” del contesto attuale non è da escludersi. L’Iran influenza con decisione una rete di alleati regionali, da Hezbollah agli Houthi yemeniti, che hanno saputo resistere a più riprese contro forze militari di maggior entità (le Idf israeliane Hezbollah, la coalizione a guida saudita per i ribelli Houthi) o hanno conquistato sul campo una capacità manovriera notevole (come le Forze di mobilitazione popolare irachene). Le capacità di interdizione di queste forze contro gli Usa o i loro alleati in Medio Oriente non sono affatto da sottovalutare.

Anche l’opzione di continui raid aerei statunitensi tra Iraq e Siria contro le postazioni iraniane potrebbero essere un possibile sviluppo. Vi è però da tenere conto che i raid di fine dicembre e l’azione contro Soleimani hanno avuto successo in quanto facilitate dall’effetto sorpresa, mentre sul medio periodo è possibile che l’Iran metta in funzione le sue batterie di missili terra-aria e che si corra il rischio di coinvolgere elementi militari di altri attori presenti sul terreno (forze russe, contractors, milizie irachene non affilitate all’Iraq e così via).

Il mantenimento del conflitto al di fuori dei confini iraniani impatterebbe sulla strategia costruita negli anni da Teheran, ma non ne sconvolgerebbe le basi. Come si scriveva, “prioritario, per l’Iran, è il mantenimento dell’integrità del suo territorio nazionale in caso di attacco straniero: la debolezza delle sue forze armate convenzionali rispetto ai rivali regionali (Arabia Saudita, Israele) o globali (Stati Uniti) ha portato i decisori strategici iraniani a sviluppare una duplice strategia”. Proiettare all’esterno la prima linea di difesa per poter al meglio progettare, “in caso di invasione, una guerra di resistenza nazionale da condursi nelle roccaforti centrali del Paese, arroccate sulla barriera naturale dei Monti Zagros”, in modo tale da incrementarne il costo materiale e umano.

Una guerra in larga scala?

Gli Usa e i loro alleati, allo stato attuale delle cose, non avrebbero il capitale militare, politico ed economico per far fronte a un conflitto di questo tipo. Il grattacapo dei Monti Zagros sarebbe solo l’inizio per un’eventuale forza d’invasione, che dovrebbe affrontare condizioni climatiche, militari e ambientali variegate e difficili. Al tempo stesso, la grande dimensione dell’Iran rende implausibile che gli Usa riescano a mettere a terra il potenziale difensivo e antiaereo della Repubblica Islamica con un solo colpo. Senza contare come anche in un Paese con le infrastrutture distrutte Pasdaran e militari iraniani potrebbero riuscire a organizzare una guerriglia efficace.

“Nessun analista sano di mente suggerirebbe un’invasione terrestre dell’Iran”, ha scritto Franco Iacch su Osservatorio Globalizzazione. “L’Iran”, scrive l’analista, “è una fortezza. Circondato su tre lati da montagne e sul quarto dall’oceano con una terra desolata al centro: è estremamente difficile da conquistare. Quasi tutte le principali città si trovano nel nord del paese. Una forza d’attacco proveniente dall’Afghanistan occidentale”, dunque dalla direttrice opposta a quella chiusa dagli Zagros, “richiederebbe mesi per essere assemblata, considerando che sarebbero necessari non meno di 300 mila soldati sul terreno. L’Iran non è certamente l’Iraq del 2003. Passare dal confine afghano alla maggior parte delle principali città iraniane richiederebbe la traversata di due grandi regioni desertiche: Dasht-e Lut e Dasht-e Kavir”, ostili all’avanzata di truppe meccanizzate e rifornimenti.

Al tempo stesso, per Teheran risulterà d’ora in avanti sempre più difficile alimentare i suoi proxy transfrontalieri con continuità e decisione. Lo scenario più probabile dello scontro Usa-Iran vede dunque come teatro principale d’elezione i turbolenti spazi del Siraq, ove un conflitto fatto di azioni coperte e colpi bassi si combatte già da anni. Una guerra su larga scala e un’invasione diretta dell’Iran non sono improvvisabili né motivabili a Washington: ciò che dobbiamo attenderci è un aumento massiccio della già grande confusione che regna sotto i cieli mediorientali.