Garlasco, il genetista Capra avverte: “Se contestiamo il Dna, riapriamo anche il caso Yara”

L’inchiesta sulla morte di Chiara Poggi a Garlasco si infiamma di nuovo, ma questa volta a far discutere non è solo l’impronta di Andrea Sempio, ritrovata sulla scena del crimine, bensì il metodo stesso con cui si sta affrontando la riapertura del caso. A sollevare dubbi e preoccupazioni è il genetista Marzio Capra, per anni consulente della famiglia Poggi, che in un’intervista all’Adnkronos lancia un allarme: si rischia di “riscrivere la giustizia” e di aprire un “vaso di Pandora” con conseguenze imprevedibili.

Il fulcro della polemica è l’impronta “33”, rinvenuta sul muro vicino al corpo di Chiara Poggi nel 2007 e ora attribuita ad Andrea Sempio. Un elemento, all’epoca, giudicato non utile ai fini investigativi dal Ris di Parma. L’attuale riapertura del caso, basata su nuove analisi, pone Capra di fronte a un interrogativo cruciale: “Se passasse il concetto che le ultime analisi sono sempre le più affidabili, allora bisognerebbe rifare da capo ogni indagine. È la fine del sistema giudiziario.”

Il genetista non esita a fare un paragone diretto con il caso di Yara Gambirasio, dove fu consulente del pool difensivo di Massimo Bossetti. “Se mettiamo in dubbio la perizia fatta sul Dna trovata sulle unghie di Chiara Poggi allora mettiamo in dubbio tutto,” afferma Capra, sollevando un dubbio fondamentale: perché accettare il verdetto sul Dna di Bossetti, mentre si rimettono in discussione elementi ritenuti ininfluenti in passato? Un’affermazione che rischia di riaccendere anche quel processo, già segnato da anni di polemiche.

L’appello di Capra è chiaro: “Delle due l’una: o quell’impronta è utile, o non lo è. E se uno ha ragione e l’altro torto, ci si deve chiedere anche come vengono spesi i soldi pubblici per le indagini scientifiche.” Il genetista, pur riconoscendo l’evoluzione della scienza forense, mette in guardia contro una delegittimazione sistematica degli esperti e del lavoro svolto nei laboratori. “O si rispetta il lavoro fatto nei laboratori, oppure si apre un vaso di Pandora che rischia di travolgere l’intero sistema.”

Le parole di Capra arrivano in un momento delicatissimo per l’indagine bis di Garlasco, ma aprono una riflessione più ampia. È possibile riscrivere la verità processuale a distanza di anni, basandosi su elementi prima considerati ininfluenti? E, soprattutto, quali altri casi potrebbero essere riaperti, innescando una spirale di revisioni e nuove indagini?

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