“3 Novembre 2025: la data della Terza Guerra Mondiale”. La profezia che fa tremare l’Europa
Letture rapide, ma non superficiali: l’arte di prevedere il peggio, se utilizzata in modo corretto, è una leva per la deterrenza e la preparazione. Se invece si intreccia con la porta spalancata del web e con pratiche di disinformazione, può trasformarsi in un terreno fertile per teorie del complotto e paure ingiustificate. È quanto sta accadendo attorno a un esercizio teorico di uno degli stratega militari più noti degli ultimi anni: Richard Shirreff, ex comandante della NATO, la cui analisi, inizialmente presentata come scenario di worst-case, è stata fagocitata dai social media in una narrazione apocalittica priva di basi operative reali.
Contesto storico: dalla premeditatio malorum all’analisi di rischio La premeditatio malorum, cioè la capacità di pensare al peggio per prevenire l’imprevisto, ha radici antiche. Pensatori come Seneca e Marco Aurelio insegnavano che l’esercizio virtuoso della previsione delle conseguenze serve a mettere in sicurezza persone, infrastrutture e decisioni. In ambito militare, questa metodologia non significa desiderare la sconfitta dell’avversario, ma immaginare scenari di crisi per preparare contromisure: piani di ritirata, reti di alleanze, logistica di emergenza, protezione delle catene energetiche e informative.
La svolta, oggi, è la rapidità con cui viviamo un contesto fortemente volatile e comunicativo. Se allora l’obiettivo era ridurre l’incertezza nel campo di battaglia, sui social media lo stesso approccio si trasforma in una miccia per teorie del complotto o per una lettura catastrofista della geopolitica. È quanto è successo con l’analisi pubblicata da Shirreff e ripresa dai media internazionali, tra cui il Daily Mail, e che è stata in seguito riproposta, filtrata, riambientata e drammatizzata dai contenuti viralizzabili del web.
L’esercizio teorico di Shirreff: cosa voleva dimostrare Secondo quanto riportato, l’ex generale britannico e autore del libro War with Russia: An Urgent Warning from Senior Military Command (2016) elaborò uno scenario puramente ipotetico per illustrare le vulnerabilità dell’alleanza Atlantica in caso di una possibile offensiva russa. L’ipotesi prevedeva un attacco russo a sorpresa contro le capitali baltiche, con una data casuale: 3 novembre 2025. L’idea non era fornire una “profezia” né descrivere una previsione operativa imminente, bensì usare un’eventualità estrema per discutere le criticità di mobilitazione, protezione infrastrutturale, cyberdefense e gestione di crisi.
In breve: la tesi centrale di Shirreff è che, di fronte a un attacco rapido e ibrido, la NATO potrebbe non avere sufficiente margine di tempo per reagire efficacemente. L’obiettivo non era creare panico ma stimolare azioni concrete di rafforzamento deterrente e di preparazione logistica: rafforzare le difese, accelerare l’allentamento delle vulnerabilità, migliorare la resilienza delle reti critiche e delle infrastrutture, e incentivare la cooperazione tra ally per la gestione di crisi.
La trasformazione sui social: da avvertimento strategico a profezia apocalittica Quello che è accaduto successivamente è la trasformazione della narrativa. Il meccanismo è noto: un contenuto complesso, che inquadra una prassi di risk management, viene estratto dal contesto, semplificato e in alcuni casi drammatizzato. Sui social media, l’ipotesi puramente teorica di Shirreff è stata travolta da una corsa di interpretazioni: “profezia” annunciata, “prove” di piani segreti, e una serie di discorsi unseri che associano la data del 3 novembre 2025 a un presagio di terza guerra mondiale.
Nella catena di disinformazione, la data casuale diventa un feticcio simbolico, e non un punto di analisi critica. Alcuni utenti sostengono di aver trovato al di fuori dei canali ufficiali indicazioni su piani segreti sul dark web; altri parlano di una “numerologia geopolitica” che legerebbe la data e gli eventi storici per dimostrare una “logica occulta” dietro l’attacco. Falsi telegiornali, immagini generate dall’Intelligenza Artificiale e contenuti che riartigolano i discorsi di Shirreff come se fossero indicazioni operative concrete hanno amplificato la percezione di una imminente catastrofe.
Questo modo di procedere va distinto dall’analisi seria: l’uso distorto non è una semplice reinterpretazione, ma una riedizione che sostituisce l’analisi di rischio con la narrativa di profezia, spingendo un pubblico generalmente non specialista a “interpretare” una possibile crisi con strumenti non adeguati. L’elemento chiave è la differenza tra comprendere un rischio, pensarlo in scenari multipli e prendere decisioni preventive, e trasformare quel rischio in una predizione assoluta di catastrofe imminente.
Qual è la realtà dei fatti? Separare analisi, realtà e disinformazione La realtà geopolitica attuale non fornisce segni concreti di una preparazione o di una pianificazione per un’offensiva su vasta scala contro i confini orientali della NATO. La presenza di tensioni è reale: incursioni lungo i confini, violazioni dello spazio aereo, interferenze tecnologiche, droni ostili e risk management di comuni strumenti di disinformazione esistono. Tuttavia, ciò non equivale a una previsione di attacco imminente né a una “profezia” operativa.
Il valore dell’analisi di Shirreff, quando letta nel giusto contesto, risiede nella deterrenza: mostrare che un attacco rapido e ibrido potrebbe mettere in crisi sistemi complessi e che reagire in tempi utili richiede preparazione, coordinamento e resilienza. La distorsione mediatica, al contrario, è funzione di una dinamica di viralità: i contenuti sensazionalistici hanno una maggiore probabilità di diffusione rispetto a analisi ponderate, e possono alimentare paure ingiustificate o spiegazioni semplicistiche di fenomeni geopolitici complessi.
Le conseguenze della diffusione non verificata
- Perdita di fiducia: una narrazione di imminente crollo può erodere la fiducia nelle istituzioni, anche in assenza di prove evidenti.
- Eccesso di allarme: decisioni politiche e sociali possono essere accelerate o deviate da paure irrazionali, con costi economici e politici tangibili.
- Difficoltà di discernimento informativo: utenti, media e responsabili politici possono trovare difficile distinguere tra dati verificabili e allusioni speculative.
- Rischio di normalizzazione: se la narrativa catastrofica si radica nella coscienza pubblica, potrebbe diventare una cornice interpretativa predefinita per future crisi, anche quando la minaccia reale è diversa o mitigata.
Conclusione: una responsabilità condivisa tra analisti, media e pubblico In un’epoca in cui l’informazione viaggia alla velocità della luce, la responsabilità di chi produce contenuti analitici e di chi li consuma è cruciale. L’analisi di risk assessment, pur restando uno strumento utile per la deterrenza e la resilienza, va collocata in un contesto chiaro: non è una profezia, ma una cornice per discutere misure preventive e scenari di risposta. I media hanno il dovere di contestualizzare le fonti, distinguere tra scenario ipotetico e previsione, e riportare chiaramente la differenza tra analisi teorica e narrazione sensazionalistica. Il pubblico, a sua volta, deve esercitare spirito critico, cercare conferme da fonti affidabili e distinguere tra fatti verificabili e interpretazioni speculative.
Imparare dalla distinzione tra premeditatio malorum e panicam media è possibile: si tratta di trasformare la conoscenza in preparazione concreta, non in prophesia autoproclamata. La lezione rimane preziosa, anche in tempi in cui la tecnologia permette di amplificare qualsiasi voce: pensare al peggio per pianificare meglio è una cosa, diffondere il terrore come arma di spettacolo è un’altra. In definitiva, se vogliamo restare principi e non prede delle paure, serve una lettura critica, una verifica delle fonti e una finestra di dialogo aperta tra militari, analisti, media e cittadini. Solo così la premeditatio malorum può continuare a servire la deterrenza, senza cadere nelle trappole della disinformazione.